Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 2, Classici italiani, 1824, XV.djvu/330

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854 dico: dopo la morte di Augusto furono gli Spagnuoli quei che recarono maggior danno alla eloquenza ed alla poesia. Eccovi (esclama il signor abate Tiraboschi) che il sig. abate Lampillas rendendo universale la proposizione ch’io ho ristretto a quei tre solamente, la rende ancora più odiosa. E dovremo qui entrare in una disputa di dialettica, spiegando la vera notizia delle proporzioni universali, e di quelle che dalla scuola si chiamano indefinite? Basta dire, che non è più universale quella mia proposizione intorno agli Spagnuoli, di quello che sia universale quest’altra del signor abate (Stor. lett. pref. pag. 26). Noi Italiani siamo forse non ingiustamente ripresi <1 esserne troppo liberali (d’ingiurie e villanie) coi nostri avversari. Non mi persuado che con quella espressione noi Italiani abbia egli preteso d’intaccare universalmente tutti quanti sono gli Apologisti in Italia. Ma che giova voler gettare la polvere sugli occhi del pubblico? Non hanno forse l’istessa università tutte quante sono le proposizioni da lui scritte in quel luogo? Il recare come cagioni del corrotto gusto d’Italia il dominio che gli Spagnuoli ci ave ai 10 allora = che i loro libri si spargevano facilmente -j=. che gT Italiani divennero , per così dire, Spagnuoli! Di più, come argomenta egli per provare che la stessa cagione (cioè gli Spagnuoli in Italia) che corruppe il gusto italiano nel seicento, lo corruppe ancora dopo Augusto. Ecco le due premesse: Marziale e Lucano e i Seneca furono certamente quelli che alla eloquenza ed alla poesia