Pagina:Torino e suoi dintorni.djvu/41

Da Wikisource.

BREVE INFORMAZIONE STORICA 17


ordigni di nuova invenzione. Gli abitanti dovettero abbandonare le proprie case, specialmente quelle intorno al tempio della Consolata, per non rimaner vittime delle palle nemiche, e ritirarsi nella contrada di Po. I palazzi ducali erano già aperti per ricovero dei cittadini. La porta di Po era bensì libera, ma l’armata francese aveva occupata gran parte dei passi vicini e sorpreso parecchie volte i convogli che si mandavano agli assediati. La cittadella formicolava d’operai di ogni genere, che con indicibil bravura tiravan in lungo l’assedio. Trecento donne trasportavano terra e fascine nei fossi e nei luoghi più esposti alle batterie nemiche. I poveri dell’ospedale e gli orfani lavoravano anch’essi negli scavi delle mine. Meravigliose prove di coraggio e di valore! Il Consiglio di città provvide alla meglio a prevenire la fame; però i prezzi incarivano, e si vendette la carne, dice il Soleri, fino a otto soldi alla libbra! I cittadini più agiati offerivano le loro derrate; i ricchi aprivano i loro scrigni. Le diserzioni e le malattie scemavano la guarnigione. L’artiglieria però non poteva essere migliore. Le mine sortivano un buonissimo effetto, ma scarseggiavano sempre le munizioni. Vittorio Amedeo, fecondo in ripieghi, spediva colla corrente dell’acqua degli otri di polvere nella città; ma accortosene il nemico, li arrestava con reti e rendeva inutile il ripiego. Gli assedianti frattanto si accostavano sempre più alla piazza, e pressavano Torino ch’era ridotta quasi agli estremi. Un soccorso di gente armata dall’estero era divenuto necessario. Lo aspettava ansiosamente quel popolo generoso, indurato nella difesa della patria, pronto a tutti i sacrificii per supplire alla necessità dell’assedio; quel popolo che volava dalle preci dell’altare al fuoco dei baluardi con ardore costante. Il padre Sebastiano Valfrè (ora venerato fra’ beati) aveva eretto un altare per le truppe nella piazza S. Carlo — Il soccorso invocato non tardò ad arrivare.

Il principe Francesco Eugenio di Savoia, il flagello de’ turchi, scendeva con agguerrite squadre imperiali da Germania in Italia. Lasciando i nemici, con maestrevoli mutamenti e rapidi tragitti di fiumi, nella incertezza della strada che sarebbe per prendere, s’avanzò a grandi giornate, e giunse in Piemonte; ove, passato il Tanaro, a tre miglia da Asti, venne ad aggiungere le sue forze a quelle del perdurante duca Vittorio Amedeo, il quale si era avanzato fin verso Carmagnola ad incontrarlo.

Tutto l’esercito, composto di 34,000 uomini, si accampò tra Moncalieri, Carmagnola e Chieri.

Il duca Filippo d’Orleans con nuove genti passò le Alpi, e venne anch’esso in Italia, accompagnato dal maresciallo Marsin, per prendere il comando supremo dell’armata delle due corone, in luogo del Vendôme,

2