Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/137

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profonda e coraggiosa. Un giorno lo nominai a Marco; ma mi rispose infastidito:

— Quello non è un uomo è un vangelo; - e non ne parlò più.

Io pure avevo trascurato il mio amico. Avevo cominciato a scrivergli di rado; poi, distratto dagli studi, dai viaggi, dagli amori, avevo finito per non scrivergli più affatto. Ma l'avevo a cuore, ed in tutte le ore difficili pensavo a lui, e desideravo il suo consiglio. Dacchè ero tornato a Milano, avevo fermato più volte il proposito di scrivergli le mie inquietudini per il cambiamento di Marco. Ma avevo differito sempre al domani; il domani degli indolenti che non arriva mai.

Un giorno ricevetti un telegramma che mi chiamava precipitosamente a Torino. Mio fratello stava male. Partii immediatamente collo spirito agitato dai presentimenti più tristi.

O Eva; che la vostra cara vita non sia funestata mai da una scena atroce come quella che vidi entrando nella casa elegante ed ospitale del mio povero Marco.

Nell'anticamera parecchi uscieri cominciavano ad apporre i suggelli giudiziali ai mobili; nel salotto gli uomini del tribunale, seri ed indifferenti, stendevano un processo verbale. Nessuno mi disse nulla. Non mi conoscevano, ma mi lasciarono passare; la casa era indifesa contro la curiosità e l'indiscrezione degli estranei. Era qualche cosa di scoraggiante, di tetro, come un saccheggio o un incendio. Feci le supposizioni più funeste: una malattia grave, un fallimento...

Mi precipitai impaurito nella camera di Marco. Quanto avevo preveduto di più orribile, era nulla al confronto della realtà.