Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/119

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«Mi venne un’idea, e la colsi al volo come una ispirazione di cielo.

«Mi avviai direttamente alla sala da pranzo, quasi che quella e non altra fosse stata la mia meta.

«— Fa colazione? mi chiese il cameriere.

«— Sì.

«— Cosa prende? Caffè e panna?

«— Sì. — Mi sarebbe stato impossibile dir altro. Poi pensai che non volevo esser interrotta dal servizio mentre leggerei la mia lettera, ed aggiunsi:

«— Subito.

«Appena seduta ero servita. Apersi quella busta, stesi il foglio dinanzi a me appoggiato alla bottiglia dell’acqua, presi da una mano la molletta, dall’altra la zuccheriera... e lessi:

— «Mia cara Fulvia,

— «Voi mi chiamavate filosofo, forse collo stesso significato con cui i Greci chiamavano Eumenidi le bruttissime furie. Ebbene; io vi darò in iscritto un saggio di quella filosofia che non ho saputo mostrarvi conversando con voi, dovessi pure con questo provocare gli scongiuri della bella maga che ha evocato il mio non so se buono o cattivo spirito filosofico.

— «Nell’ora stessa in cui vi vidi partire giurai di non raggiungervi a Reggio; e manterrò il proponimento per quanto mi costi il mancare alla parola data,