Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/157

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identiche circostanze; erano signore ammodo, cui il mondo non faceva la menoma eccezione, il menomo rimprovero.

«Allora le mie idee presero un altro indirizzo.

«Certo io ero troppo scrupolosa. Infine mi ero contenuta decorosamente con Max; egli sapeva il mio impegno; tra noi non s’era parlato che d’un sentimento fraterno. Io non avevo tradito i miei doveri verso Gualfardo. Ero ancora degna di lui. D’altra parte, quanti giovani avevo io conosciuti mentre cantavo? Quanti m’avevano corteggiata? Quanti m’avevano parlato con meno riserbo di Max? Io non li avevo lusingati, avevo respinto il loro amore. Precisamente come avevo fatto con Max. Forse che pensavo di fare a Gualfardo la cronaca di quelle galanterie? Nemmeno per ombra. E perchè dovrei farmi un dovere di narrargli la mia relazione con Max? Perchè gli altri li avevo respinti senza soffrirne, e Massimo lo avevo ricusato con dolore? Ma questo non era che un merito di più.

«Poi vennero le penombre della sera. Non vidi più la gente in istrada. Non vidi più nulla intorno a me; ed allora guardai nella mia coscienza.

«E vidi che tutto ciò era sofisma per ischermirmi da un dovere penoso. Vidi che la mia colpa non stava nel sentimento involontario ch’io provavo per Max, ma nelle piccole ipocrisie d’amicizia con cui