Pagina:Tozzi - Giovani, Treves, 1920.djvu/42

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pittori 35


— Perchè, dianzi, mi hai detto a quel modo?

— Non me lo domandare: nè meno io lo so. Io vorrei che ogni giorno vissuto restasse a mia disposizione; e mi fosse possibile essere sempre giovine conservando tutto ciò che ho fatto. Non senti che la nostra giovinezza è una specie di malattia che non ci lascia il tempo di guarire?

Rocco Materozzi, figliolo d’una guardia daziaria, aveva sedici anni. Era tisico, e tossiva di continuo; ma egli dava la colpa alle sigarette. Siccome la mattina era molto fredda, le sue labbra doventavano pavonazze e il viso livido e giallo. Aveva gli orecchi rossi e gonfi di geloni, che facevano sangue quando si rompevano le croste. Portava un anello d’oro, d’una sorella morta. Aveva un vestito molto consumato e le scarpe cattive.

Il Bichi era alto, con gli occhi di madreperla azzurra; e anche la pelle attorno agli occhi era chiara e quasi lucente. Di quando in quando, aveva l’abitudine di sdrusciarsi con un dito la punta del naso. Il Materozzi, per parlargli, doveva voltarsi sempre in su; e allora gli andava quasi addosso e lo faceva inciampare. Il Bichi lo respingeva con il gomito. Ma se non ci stava