Pagina:Tra le sollecitudini (Roma 1903).djvu/9

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appare dolce, soave, facilissimo ad apprendere e di una bellezza sì nuova ed inaspettata, che dov’esso fu introdotto, non tardò ad eccitare vero entusiasmo nei giovani cantori. Or quando nell’adempimento del dovere entra il diletto, tutto si opera con maggiore alacrità e con frutto più duraturo. Vogliamo adunque che in tutti i collegi e seminarî di quest’alma Città s’introduca di nuovo l’antichissimo canto romano, che già risonava nelle nostre chiese e basiliche e formò le delizie delle passate generazioni nei più bei tempi della pietà cristiana. E come altra volta dalla Chiesa di Roma quel canto si era sparso nelle altre Chiese d’Occidente, così bramiamo che i giovani chierici, istruiti sotto i Nostri occhi, lo rechino e lo diffondano di nuovo nelle diocesi loro, quando vi ritorneranno sacerdoti ad operare per la gloria di Dio. Ci gode l’animo di dare queste disposizioni mentre stiamo per celebrare il XIII centenario dalla morte del glorioso ed incomparabile Pontefice San Gregorio Magno, al quale una tradizione ecclesiastica di molti secoli ha attribuito la composizione di queste sante melodie e donde alle medesime è derivato il nome. Si esercitino diligentemente in quelle i Nostri carissimi giovani; chè Ci sarà caro udirli, se come Ci viene riferito, essi si raccoglieranno insieme nelle prossime feste centenarie presso la tomba del Santo Pontefice nella Basilica Vaticana, a fine di eseguire le melodie gregoriane durante la sacra Liturgia, che a Dio piacendo, sarà da Noi in tale fausta occasione celebrata.