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manzoni e cavour 421

diceva, semper un imbrojàa, più imbrogliato ancora era in cose d’etichetta. Se avesse avuto a ringraziare il Re con una lettera, gli era il suo mestiere; ma il Re veniva a Milano, e conveniva andare a ringraziarlo di persona! Don Alessandro in simili faccende si sentiva un po’ don Abbondio. Come fare? Il 12 agosto, eccolo a chieder consiglio o aiuto al Casati. Gli scrive:

Il Re, imponendomi il dovere di presentargli i miei umili o vivissimi ringraziamenti, m’ha implicitamente autorizzato a chiedergli anche la grazia di un’udienza. La mia imperizia arriva sino al non sapere come si deve fare. Ma la tua bontà uguaglia la mia imperizia, che è tutto dire.

La visita avvenne. Può bene immaginarsi con quanta effusione di cuore stringesse la mano di quel sovrano dell’arte il principe da lui con tanta tenacia invocato e auspicato! «Un Re», ebbe poi a definirlo il poeta, «che al coraggio ed alla costanza della sua stirpe univa un sentimento per l’Italia, che in questo caso non consentiremmo di chiamare ambizione, perchè la parte di vanità e d’interesse personale, sottintesa in un tale vocabolo, scompare nella grandezza e nella nobiltà del fine». Vittorio Emanuele, racconta l’ottimo e compianto Giovanni Visconti Venosta, «accolse il Manzoni colla gentile familiarità o coll’espansione con cui avrebbe potuto accogliere un suo pari; e quando si congedarono, il Re, datogli il braccio, lo accompagnò, traverso le sale e per lo scalone, fino nella corte del palazzo. Il Manzoni» — soggiunge don Gino, che fu dei pochissimi ammessi alla conversazione del poeta negli anni che seguirono al sessanta, — «il Manzoni, nella sua modestia, non parlò mai di questo episodio, e io lo seppi poi da suo figlio Pietro, ch’era con lui»1. Cortesie tra sovrani! O non era forse l’uno, il più vecchio, «la maggior gloria letteraria d’Italia, il primo poeta vivente d’Europa»! Tale lo avrebbe proclamato, dinanzi al primo Senato del giovano Regno, il 5 aprile 1861, Camillo Cavour. E non era l’altro, il più giovane, quel principe, vaticinato fin nella canzone dell’aprile 1815, che, «delle

  1. G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù: cose vedute o sapute; Milano, Cogliati, 1904, p. 640.