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manzoni e napoleone iii 457


Non era un Celestino V il Manzoni, che quel rifiuto facesse «per viltate». Non rinunziava alle chiavi perchè non le avesse care, ma perchè sapeva di lasciarle a chi meglio di lui poteva girarlo e rigirarle, «serrare o disserrare»1. Ed è da miopi — e da grave miopìa erano afflitti, benchè provenisse da cause diversissime, e Cesare Cantù e il povero Stefano Stampa, figliastro del Manzoni — l’accusare di incoerenza il singolar Milanese, che non volle, ostinatamente, sottoscrivere alla domanda d’annessione al Piemonte, e molto invece si compiacque che i migliori e tutti quasi i suoi concittadini sottoscrivessero. L’astensione sua — del poeta che pur allora aveva finalmente trascritta e pubblicata la stupenda sua ode Marzo 1821 (io non conosco, nella letteratura nostra, quale altro serventese possa starle a paro, se non forse l’intemerata di Dante nel canto di Sordello o la canzone All’Italia del Petrarca), insieme col frammento di canzone sul tentativo unitario del Murat — voleva essere un mònito, non già impedire quel primo passo. Il sacerdote dell’ideale ammoniva che si trattava appunto d’un primo passo, e la via da percorrere era lunga; che uno Stato italiano il quale affratellasse il Piemonte alla Lombardia era già qualcosa, purchè nella gioia dell’abbraccio i duo più fortunati fratelli non obliassero gli altri; che la famiglia italiana s’estendeva «dal Cenisio alla balza di Scilla», o fermarsi all’Adda o al Mincio sarebbe stata una iniquità o una stoltezza.

  1. Anche il Rosmini ebbe, in quegli anni fortunati che paiono così remoti per la diversità dagli attuali costumi politici, a rifiutare, tra le altre, pur la candidatura politica, fattagli offrire, forse nello stesso collegio di Arona, dalla signora Manzoni. Lo attesta questa letterina, trovata recentemente tra le Carte dello Stampa, con la data di «Stresa, 5 dicembre 1849»:
         «Illustrissima signora Contessa,      Tali sono le mie doevrose occupazioni, tale altresì la presente mia condizione, che mi riuscirebbe del tutto impossibile l’accettare un mandato di Deputato. Ho dovuto fare questa dichiarazione ad altri Collegi elettorali. Considero per altro come un sommo onore, che taluno ponga gli occhi sull’umile mia persona, e La prego di far sentire a quelli, che hanno fatto parola di ciò, la mia più viva riconoscenza. — Mi saluti donn’Alessandro con quell’affetto che Ella sa, cd aggradisca i sentimenti della mia venerazione, coi quali sono Suo umilissimo obbligatiss. servo A. Rosmini».