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manzoni e napoleone iii 467

poeti avesser l’estro e il poetico fuoco anche nella vecchiaia», egli con evasiva arguzia rispondeva: «Ma eran fuochi a cui nessuno si scaldava!»1.

Sottigliezze!, esclamerà qualche lettore un po’ lesto e frettoloso. Sì, sottigliezze, per il fatto che il Manzoni non era nè uno spirito nè uno scrittore grossolano; e chi voglia penetrarne la mente, bisogna che s’acconci a sottilizzare. Del resto, pur qui ci soccorre la parola stessa del Manzoni. La lettera, pubblicata in un opuscoletto nuziale dal D’Ancona nel 18962, è rimasta presso che sconosciuta; ed è un documento singolarmente interessante e caratteristico.

Al «nunzio» che anche «la spoglia» del secondo imperatore giaceva «orba di tanto spiro», pur la gentile Firenze, non immemore, le decretava solenni esequie in Santa Croce. E perchè esse riuscissero più degne, dell’epigrafe, da porre sulla porta del tempio, si volle commesso l’ufficio al poeta del Cinque maggio. Ma al Giorgini, che del desiderio del Comitato fiorentino si era reso interprete, il veglio onesto e pensoso, che già s’era messo al niego per una simile richiesta di un Comitato milanese, s’affrettò a rispondere, il 25 gennaio ’73:

Rispondere a Bista col silenzio, non sarà mai detto. Non potendo fare ciò che tu mi chiedi, con delle lodi che il fatto dimostra non meritate, non posso a meno di non dirtelo espressamente, aggiungendone la ragione. Ed è che io non ci trovo il bandolo. La richiesta che mi venne fatta qui d’una iscrizione per lo esequie in Domo e dalla quale mi scusai ugualmente, mi fece rammentare che n’avevo fatta pure una, senza trovarci difficoltà. Ma era quella per l’infelice e egregia Confalonieri; e il soggetto era semplicissimo. Una moglie che, dopo la prigionia del marito, non aveva più avuta altra faccenda, nè altro pensiero, che di procurarne o la liberazione o la diminuzione dei patimenti. Me ne fu poi chiesta una per un monumentino del nostro povero Rossari; e fu trovata troppo lunga per una lapide, e messa da una parte. Ma qui non c’era altro inconveniente che la quantità; nel caso di cui mi scrivi, una gran difficoltà mi nasce dalla qualità del soggetto medesimo. Il benefizio che si tratta di celebrare, fu certamente una cosa immensa, anzi unica e incomparabile, ma accompagnata nella condotta da fatti restrittivi, anzi opposti. Distinguere, spiegare, giustificare per ragioni di politica, mi paiono cose le più anti-epigrafiche che si possano imma-

  1. D’Ovidio, Nuovi studii manzoniani, p. 316.
  2. Nozze Tamassia-Centazzo: VI lettere di A. M. a G. B. Giorgini; Pisa, Nistri, 1896, p. 18 ss.