Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/316

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atto quarto.—sc. iv. 311

Orrendamente le macchiar del volgo
E de’ patrizi le discordie. Il volgo
Co’ suoi sordidi eroi mietea la palma,
E il sangue a rivi ognor correa; nè tanta
All’esausta città lena restava
Che di Pavia le ritornate faci
Retrospinger potesse.— Inopinato
Fra i nobili proscritti un campion sorge,
Che il braccio suo alla sbaldanzita plebe
Offre; e le ardite faci ecco smorzate
De’ Pavesi nel sangue. Il figlio tuo
Quell’invitto era. All’arrogante plebe
Io posi il freno! io delle illustri case
Rïalzai la potenza! Ma sovr’esse
La veneranda pianta di giustizia
Alzar gigante volev’io. Il potei?
No! Come dianzi il malignante volgo,
Ecco il socïal ordine prorotti
I patrizi a’ sovvertere. A congiure
Congiure succedean. Fervido io ancora
La giovanile idolatria serbava
Del patrio zelo e dell’onore; e innanzi
Che fra i tiranni annoverarmi, solo,
Sul mio destrier, spontaneo, io dalla terra
Che il mio braccio avea salva esular scelsi.
Leoniero.E inteneriti ancor membran que’ giorni
Auberto e Ghielmo ed ogni buon; ma un velo
Uopo qui stender su tua istoria fòra.
Qual demon lunge da Milan tuoi passi
Allor traea? Milan che alle lombarde
Genti verace madre erasi fatta!
Che a Barbarossa ti guidò? Tu ondeggi?
Enzo.No. Giovenil di patria idolatria
Folle, ma generosa! assai più grande
Di quella, onde i Lombardi e le lor cento
Miserabili insegne infastidendo
Italia gían. Che proponeansi? Eterno
Lor picciolette glorie e lor maligne