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104 ESCHILO

di Battrïana, l’isola d’Aiace
flagellata dai flutti, abita. Arsame,
Lilaio, e terzo, Argeste, intorno all’isola
di colombi nutrice, all’aspra cozzano
spiaggia coi corni, spenti. Artèo, finitimo
del Nilo egizio ai fonti, Adève, e terzo
il clipeato Fàmuco, piombarono
da un legno sol. Criseo Matallo, capo
di trentamila cavalieri negri,
bagnò la rossa fitta ombrosa barba,
color mutando entro purpureo bagno.
L’arabo Mago, il battrio Artame, giacquero,
nuovi meteci, in quella terra dura.
Ed Amistri e Anfistrèo, che la terribile
lancia vibrava, e Arïomarde il buono
che lutto a Sardi ora procaccia, e Sisamo
misio, e Taribi che guidava navi
cinque volte cinquanta, e nacque a Lirna,
fulgido eroe, giace ora spento, misero,
ché non gli arrise la ventura. E Sínnesi
re dei Cilici, il primo fra i magnanimi,
cruccio, ei da solo, agl’inimici, grande,
morte ebbe e gloria. Io questi sol rammemoro
dei condottieri. Ma ben pochi sono
questi che annuncio, dei malanni molti.
atossa
Ahi!, quale ascolto vertice di mali,
e quale onta dei Persi ed acuti ululi!
Ma torna ancor sul tuo racconto, e dimmi