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I SETTE A TEBE 181

ché non secondi i sacrifici furono.
Furïoso Tidèo la lotta agogna,
e leva grida — sibili di drago
a mezzo il giorno — , e l’indovino saggio
figliuolo d’Oïclèo, batte d’ingiurie,
ch’egli piaggia la morte e la battaglia,
per difetto di cuore. Cosí grida:
e tre pennacchi che il cimiero chiamano
e gittano ombra, scuote; e tintinnaboli
di bronzo clangore orrido risuonano
sotto lo scudo; e su lo scudo, questa
superba insegna effigïata: un cielo
ardente d’astri; e, fulgida, la luna
piena, chiara, degli astri il piú solenne,
della notte pupilla, in mezzo splende.
Irrequïeto nell’armi superbe,
presso la riva del fiume urla, anelo
di pugne, come destrïer che furia
sbuffa contro le redini, e sobbalza,
mentre lo squillo della tromba aspetta.
A questo chi opporrai? Tolte le sbarre,
chi garante sarà di questa porta?
eteocle
Mai tremar non mi fanno arnesi adorni,
né fan piaga le insegne; e senza lancia
morder non ponno e ciuffi e tintinnaboli.
E quella notte scintillante d’astri,
che, come dici, è su lo scudo, presto
presagio diverrà, tale stoltezza.