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232 ESCHILO

a un ordine superiore di giustizia e di bene. È contrasto, è problema e soluzione filosofica, tanto piú alto, quanto piú conserva la sua pura essenza.

Ora, a un dramma occorrono azioni o caratteri. Ma un’azione, cioè una vicenda di lotta fra Prometeo e Giove, ridurrebbe il terribile contrasto al livello d’una lotta umana. E, d’altra parte, perché una passione filosofica non basta ad informare un carattere scenico, a meno che questa passione non venga ad urtare contro passioni umane (come, p. e., ne La Recherche de l’absolu di Balzac), per drammatizzare il Prometeo, occorrerebbe introdurvi elementi estranei. Ma tali superfetazioni sono il peggior morbo che possa corrodere qualsiasi opera d’arte; e specie nel Prometeo, turberebbero e umilierebbero senza riparo la purissima altezza, l’adamantina unità del mito. Non sarà inopportuno ricordare che un altro sublime artista, Beethoven, volendo riesprimere l’antico mito, sentí anch’egli quest’obbligo di non frangerne l’unità, e compose il suo preludio quasi unicamente di quartine, che si rincorrono con insistenza fiera e selvaggia.

Prodigiosa è pertanto l’antichissima figurazione mitica, ripresa fedelmente da Eschilo. Prometeo rimane immoto, avvinto da una forza materialmente tanto superiore, per centinata e centinaia di secoli. Ma, crocefisso alla rupe, straziato dal perenne martirio, non piega d’una linea dinanzi a quella forza. In questo simbolo grandioso, il mito serba e svela con perfetta trasparenza tutta la purezza originaria. Non piú legato ad una tecnica, ad un popolo, ad un tempo, varca i secoli radioso d’una perenne giovinezza. Il Prometeo non è vero dramma: è, comunque vogliate chiamarlo, opera di poesia, che simboleggia, con colori ed immagini ed armonie affascinanti, il piú