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dove sedea, privo di scampo, il misero.
Con tronchi allor di querce, senza ferro
di leve, presero a scavar la terra,
a scalzar le radici. E poi che l’opera
al fine non giungeva, Agave disse:
«Su, ponetevi in giro, e al tronco, o Mènadi,
date di piglio, ché si colga infine
l’aerea fiera, e non riveli i mistici
riti del Dio». Con mille e mille mani
quelle abbrancâr l’abete, e lo divelsero;
e dall’eccelso suo rifugio, a terra,
con mille e mille strida, Pentèo giú
cadde, che si sentia giunto al suo fine.
Prima su lui piombò, ministra prima
fu del rito di sangue Agave a lui.
Ed ei, perché la madre lo ravvisi,
via dalle chiome le bende scagliò,
e le sfiorò la gota, e disse: «O madre,
io son Pentèo, sono tuo figlio! Nacqui
di te, nei tetti d’Echïóne! Ora, abbi
pietà di me; e per gli errori suoi,
non voler, madre, uccidere tuo figlio!»,
Quella, sputando bava, e roteando,
torcendo le pupille, e dissennata,
era invasa dal Nume, e non l’udiva;
ma con la manca un braccio gli afferrò,
e, il pie puntando sopra il fianco al misero,
l’omero gli strappò: non di sua forza,
ma nelle mani un Dio vigor le infuse.
Dall’altro lato, a sbranargli le carni
Ino s’adoperava, e Autònoe e tutte
le Baccanti: era un ululo confuso,
ei gemendo finché trasse il respiro,