Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) II.djvu/154

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469-502 EDIPO A COLONO 151

che allora Tebe, a me che lo bramavo,
470questo dono accordò? Non è cosí:
ché súbito quel dí, quando bolliva
l’animo mio, quando per me dolcissimo
sarebbe stato a morte andar, soccombere
sotto le pietre, a secondar la brama
475mia, niuno apparve. E quando, invece, tempo
fu corso, e già lenito era il cordoglio,
e inteso avea che l’ira mia trascorsa
troppo era, nel punire, oltre i miei falli,
allora, allor, dopo si lungo tempo,
480a forza la città mi discacciò;
e questi, i figli miei, che ben soccorrere
poteano il padre, fare non lo vollero;
e, poiché dir non seppero una piccola
parola, errar dovei pitocco ed esule.
485Da queste due che son fanciulle, invece,
quanto consente a lor natura, ottengo:
luogo sicuro ov’io mi giaccia, e, cibo
ond’io mi nutra, e filïal soccorso.
Ma quei due, piú che il padre, e trono e scettro
490e aver la signoria di Tebe amarono.
Ma non mi avranno mai loro alleato
né prò farà la signoria cadmèa
ad essi, mai. Lo vedo or, che d’Ismene
intendo i nuovi vaticini, e a quelli
495che Febo un dí mi diede io li raffronto.
Dunque, a cercarmi mandino Creonte,
o chi altri potere abbia in città.
Ché, pur che voi vogliate, ospiti, insieme
con queste Dee della città patrone
500venerande, un sostegno offrire a me,
una grande arra di salvezza avrete,
un gran travaglio pei nemici vostri.