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112 SOFOCLE

è ben lecito dubitare se Don Abbondio possa esser mai buon giudice di poesia, e massime di poesia eroica. Una affermazione, invece, dello stesso Masqueray, ha valore obiettivo ed incontrovertibile. Ed è che le sue osservazioni avrebbero dato il mal di mare a tutti i contemporanei di Sofocle.

Il guaio è poi che da tali premesse si fanno discendere altre non meno importanti e strane conclusioni d’indole estetica. Osservato che questa minor simpatia ispirata da Ercole diminuisce la figura dell’eroe, e fa giganteggiar sempre piú quella di Deianira, il Jebb conclude che tale disequilibrio nuoce in complesso all’unità artistica della tragedia; il cui fulcro principale dovrebbe esser pur sempre l’eroe.

Ma si risponde facilmente che l’assioma implicito in questa osservazione è interamente arbitrario, e che l’eccellenza d’una figura scenica non saprebbe mai, in verun caso e in verun modo, diminuire il valore d’un dramma.

Ma, insomma, su queste «Trachinie», la discussione è troppo costretta ad argomenti soggettivi. Concludiamo.

Un piano epico-lirico, un titolo e molti particolari che fanno pensare ad Eschilo.

Una delle due figure principali — Deianira — di tipo euripidesco, anzi disegnata con un’aderenza al vero piú fedele della euripidesca. E ad Euripide ci richiama anche, indiscutibilmente, il lungo prologo.

In Ercole, invece, rifulgono le piú alte caratteristiche del genio di Sofocle. E nel dialogo fra Lica e il vecchio popolano è, sensibilissima, massime nello spunto, un’eco del contrasto dell’«Edipo re» fra il pastore di Laio e il messo di Corinto. E sofoclèo è il canto di giubilo che intona il coro all’annunzio del ritorno di Ercole: sofoclea la maggior parte delle immagini: sofoclea l’eloquenza dei personaggi: sofoclei sono i canti corali, e talvolta cosí decisamente, da poter servire da prototipi.