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I SATIRI ALLA CACCIA 217


rano dignitosamente, solennemente: la parte buffonesca rimane tutta affidata ai satiri e a Sileno.

Così appunto ammonisce Orazio che deve comportarsi un buono scrittore di drammi satireschi:

Verum ita risores, ita commendare dicaces
conveniet Satyros, ita vertere seria ludo,
ne quicunque deus, quicunque adhibebitur heros,
regali conspectus in auro nuper et ostro,
migret in obscuras humili sermone tabernas.

La speciale tempra di questo buffonesco segna invece, qui come nel «Ciclope» d’Euripide, e come nei frammenti degli altri drammi satireschi, un punto di contatto fra questi e la commedia. Esso appartiene infatti ad un vecchissimo repertorio convenzionale e volgare, al quale attinse sempre a piene mani la commedia popolare, dai giorni d’Aristofane ai nostri. Anche negli Ichneutái è facile ritrovare i famosi lazzi della commedia dell’arte. La paura, per esempio, di cui fanno sfoggio i satirelli, con esagerazione inverisimile e puerile; le fanfaronate ond’è tutto intessuto il monologo di Sileno; e, innanzi tutto, il gran da fare e il frastuono di questo dinanzi all’uscio di Cillene. Quanti conoscono od han conosciuta, ché oramai non è piú tra i vivi, la commedia di Pulcinella, ricordano bene che questo negro e nasuto idolo del popolino, ogni qualvolta si trova dinanzi ad un uscio, non tralascia di sfoggiare tutto il suo repertorio di burlette, e di scalciare con violenza da centauro.