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212 ii - angoscia doglia e pena


gente strana, che non sonno con li sua mariti e drento in casa. Imperò, se la legge fatta per le donne fosse piena di vergogna, si continerebbono di correre cosí vilmente nel publico. Perciò non senza cagione li magior nostri nisuna cosa publica nè privata lasavano far alla donna, e per questa cagione gli stava apresso il patre o la matre, overo alcun fratelo, overo il suo marito. Ma, a questi tempi, non solo in casa, ma soportiamo che vengano a chichiarare in meze le piaze, disputando ugualmente con gli uomini. Perciò voi, savi mariti, metete il freno a l’animale indomito ed alla natura impotente, e fate che da per sè non siano licenziose, ma che ve rispettino sempre mai, percioché poca cosa è questa che vi persuado, ma è di grande importanza. Perché, nè per via della legge nè per natura, le donne debbon godere la libertá di tutte le cose, anzi gli è il dovere che sempre abbiano licenzia da li sua magiori; imperò, se una volta sola vi vence la vostra donna, sempre fará poca stima di voi. Pertanto pensategli sopra, perché la cosa non è di picciol momento: imperò li vostri magiori, contemplando il fatto della donna, la sottoposeno al giugo maritale. Nondimeno, con tuto che la natura e la legge l’have sottoposte a l’uomo, non basta ancora di frenarle tanto che non errino grandamente; onde che, se voi sopportate che faciano a suo modo, che vivano come li piace, che trafighino a suo volere, deventarano uguale a voi uomini. Il che ancora parendovi di comportare, dicovi che, senza avedervi, di paritá diventarano superiore a voi. Pertanto, quando vi cercano la libertá, il vivere a suo modo, conculcano tute le leggi, e disiano di esservi ingiuriose, anzi cominciano operar in contrario: di meter la legge piú dura che non era imposta a loro. Perciò avertite di non metervi il freno, con quale avendo domate tante furiose, che col medesimo freno non vi facciano diventare furiosi. E, se me dite pure: — Alle volte le donne son sforziate de praticare nei lochi publici e nelle piaze, come per pregar il principe che abbia pietá della loro povertá, perché non possono satisfare l’imposte e le gabelle, per avere a rescatare li sua, presi da’ turchi e fatti schiavi (dil che Iddio liberi ciascuno); — e nondimeno,