Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/87

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angoscia 81

e finalmente in mezzo del suo cuore: «Ciascuna donna è vanitá di vanitade, perchè è summa vanitá». Imperò è da fuggire, per essempio, come la pompa del mondo, overo il favore del popolo: è fumo ed ombra. Sí, la donna è ombra fumosa e vana, perchè mai sta ferma, anzi si muove come la fronde e dispare come il vento; il che, ancora che alcuna volta piace, non è che ancora allora non induce un tacito dispiacere. E, pure quando diletta la sua presenza, dico che in quel tempo ancora dispiace, per la vanitá che si vede in lei specchiando. Perciò quanto è fallace la donna, son certo che sappete. Sí che, essendo cosa vilissima, è assimigliata alla vanagloria di quei, che sono gonfie le orecchie di vanitá del mondo. Pertanto vi aviso che la donna non è migliore di colui che di buono è diventato malvaggio, anzi è piú vana del glorioso soldato, il quale, quanto piú si loda ed estolle, tanto piú se biasima e piú scade dal militare onore. Sí che dico che la gloria di propria lingua, dove l’uomo è conosciuto, è piú vana di qual vòi ombra estiva. Pertanto sí una donna ornata di preciose spoglie, come un’altra vestita vilmente, è donna vana. Imperochè non giovano ornamenti ricchissimi, non corsieri feroci inanzi alle carrette, non preciosi portamenti del capo, non catene d’oro ed altri ornamenti del collo candido, nè anella di valore in su le deta; perchè son segni manifesti di vanitá del mondo, cose instabili, come sai, per essere sottoposte a l’ombra di tiranno e di ladro. Perciò dico che non c’è piú misera cosa, fra mortali, di vanitá; il che vi acerta Atalanta, Deianira, Briseida, Egina, Cidippe, Ariadna, Euridice, Cinzia ed Argia, la moglie di Telefo, la figlia di Priamo e la regina di Lidia, con infinite altre, le quali lasso come cosa notissima a voi. Per il che non so che omai piú dir possa Socrate essere donna.

Nondimeno non cessa di narrare maggior sue proprietá, dicendo essere «furore», il quale soverte povere e ricche famiglie, ruina ville, castelli e cittá, spiana le province, e regni ristringe: sí che non dirò, come disse Democrito, che nissun poeta poteva essere grande senza il furore (benchè un furibondo arde piú incredibilmente); nè per questo dico che ’l furore sia dote de