Pagina:Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, Vol. II, 1970 – BEIC 1951962.djvu/485

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il dedalione o ver del poeta 483

alcuno fa parte, ora bene, ora mal gli succeda, et a cui della cattiva dia ║ [11] continovamente sopra la terra sia tormentato; perciò che e’ non si deve in niun modo ricevere che Giove ci sia un bottigliere de’ beni e de’ mali». Se questo vero è, che Omero così di Giove favellando, mal abbia favellato, vedete che diversità sia in que’ versi di David1: «Questi abbassa e quelli inalza: perciò che nella man del Signore è un calice di vin puro ripieno di mescolato, e di questo ha versato sopra costui; nondimeno la sua feccia non è punto svanita: beranno di quella tutti i peccatori della terra». Del quale calice non solo in questo luogo parlò David, ma disse altrove: «Pioverà sopra de’ peccatori lacciuoli; il fuoco, il solfo e lo spirito delle procelle sarà la parte del calice loro». Et in un altro luogo: «Il Signore è la parte dell’eredità mia e del calice mio». Dalla qual somiglianza o bisogna conchiudere affermando che Omero abbia mal fatto e che così abbia mal fatto ancora David, ║ [12] il che è cosa profana e disconvenevole; o avendo ben fatto David, bene aver fatto ancora Omero e perciò di niuna riprensione dover esser degno.

Oltre di ciò vediamo che se si devono cacciare i poeti perciò che degli dii cose inconvenienti trattano, per questo doversi similmente le sacre scritture rifiutare, le quali dissomiglianti somiglianze di Dio vanno esplicando. Il che niuno, per pazzo et empio che fosse, ardirebbe affermare. Dice Dionisio Areopagita2: «Adopera la teologia per discriver gli spirti che mancan di forme, i fingimenti poetici», i quali non riceverebbe se buoni non fossero. Onde noi vediamo a Dio ira, penitenza et altre passioni ascriversi che a Dio non convengono; agli angeli scudi, arme, varie e strane figure tuttavia assegnarsi che in niun modo è lecito. Le quali cose se pur da santi scrittori date si veggono, con alcuna cagione son date e ributtar non si devono.

De. Qual è dunque ║ [13] la causa, Tiresia, per la quale sia lecito, di Dio favellando, con sì fatte lontane improprietà andar cercando d’esprimerlo più tosto che con le più proprie e vicine?

Ti. È in prima la picciola capacità nostra la quale più agevolmente si muove alla cognizione delle cose alte con gli esempi materiali e comuni che con gli astratti e sottili. E se di Dio favel-

  1. Psal. 74, 9; 10, 7; 15, 5.
  2. Marg: nel libro de celesti hierarchia Dionisio Aeropagita, De coelest. hier., cap. I (ed. Venezia, 1546), p. iv.