Pagina:Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, Vol. II, 1970 – BEIC 1951962.djvu/488

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natura, atti ║ [18] ad apprender più queste cose che quelle; il quale apprendere non essendo in noi ordinario nè con quelle vie apparandosi che l’altre cose s’imparano, dicesi per furore, il quale senza mezzo rappresentando nella mente nostra le cose, le fa subitamente conoscere e possedere. Il simile si vede nell’amore, perciò che amiamo talora alcuna persona perchè così abbiamo eletto d’amarla; molte volte tirati da non so che segreta forza, senza preceder molto discorso, trabocchevolmente corriamo ad amare altri. Il somigliante vedesi nel vaticinio, avvegna che molti profetano in virtù dei segni e delle stelle, altri senza poterne causa veruna allegare che l’interno movimento dell’animo loro che a così dir li sospinge. Et il medesimo vediamo nel misterio; onde i quattro furori son detti.

Le quali cose così stando come abbiam detto, et al saper del poeta tornando, ti dico che secondo l’arte parlando, egli veramente niuna cosa sa in quanto poeta, scrivendo e trattando da divino furore commosso. Il che dalle parole che seguono a quelle da te allegate puoi chiaramente vedere: «Trovai dunque ║ [19] nei poeti», dice egli «in breve tempo che eglino veramente non con sapienza trattavano le cose che essi facevano, ma per una certa natura da divina concitazion d’animo mossa, sì come coloro che da divino furore gonfiati profetano»1. E nel Fedro così dice: «Colui che senza furore agli usci poetichi delle muse s’appresenta confidando con studio e fatica d’arte poter tornarci buon poeta, egli si perde il tempo e la sua poesia, per molta prudenza che vi si ponga, di quella in fuori che da furore procede, diventa vana e di niuno momento»2. Ove se tu mi domandi qual sia miglior sapere, la scienza che per furore s’acquista o quella che si fa per l’arte, io ti risponderò quel che Socrate a Ione risponde: «Questo dunque ch’è più bello da noi ti s’imputa, o Ione, cioè che tu più tosto divino che artificioso lodatore d’Omero n’appari»3. Di modo, Dedalione, che l’armi da te addotte in danno de’ poeti, più tosto in profitto et util ne tornano.

De. Questo non fo io per calunniar la poetica o vero i poeti, ma per ritrovar la verità, sapendo voi bene, come io vi ho detto, io naturalmente alla poesia esser tirato; che se vero è che sì ║

  1. Ione 533E sg. (?).
  2. Fedro 245A.
  3. Ione 536C.