Pagina:Trattato de' governi.djvu/143

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sono in quel governo de’ buoni, costui doverrebbe essere fatto signore per via di tale giustizia. Ora s’e’ si debbe fare padrone il popolo, perchè li più sono più possenti de’ pochi; e se uno solo, o più d’un solo (ma bene manco de’ più) fusse più possente degli altri, a questi piuttosto si doverrebbe dare l’imperio, che al popolo o no?

Questi dubbi adunche fan chiaro, che nessuno di questi termini è buono, mediante il quale gli uomini stimino essere ben fatto, che e’ si dia loro il governo, e che gli altri stieno loro sottoposti. Imperocchè il popolo potrebbe rispondere con ragione a quei che vogliono lo stato in mano per essere virtuosi, e a quei similmente, che lo vogliono per essere ricchi. Chè niente proibisce, che un popolo non potesse essere in qualche luogo migliore dei pochi, e dei più ricchi; non consideratovi, dico, ciascuno dispersè, ma tutto il popolo insieme. Onde a quel dubbio, che molti ricercano, e vanno opponendo, si può in questo modo rispondere. Chè certi invero dubitano a chi doverrebbe il legislatore, che volesse fare buone leggi, indirizzare il favore d’esse; o all’utile dico de’ migliori cittadini, o all’utile dei più, quando il caso detto avvenisse. E la determinazione è, che ’l retto debbe essere da lui preso ugualmente. E il retto ugualmente è quello, che risguarda allo utile publico, e allo universale dei cittadini. E cittadino comunemente è colui, che può comandare; e che può ubbidire; ma e’ non è già così fatto in ciascuna specie di stato particolare, ma nello ottimo stato è ei quegli, che può, e che vuole ubbidire, e medesimamente comandare per fine ch’e’ si viva convirtù.