Pagina:Trattato de' governi.djvu/220

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d’alcuna cosa, che abbia a venire, ma per cagione di cose state; e che sono le fatiche e i dolori. E tal cagione si può ragionevolmente conjetturare, che sia di far credere agli uomini che la felicità s’acquisti per mezzo di questi piaceri.

E quanto al partecipare della musica non solamente per questo, cioè, perchè ella sia utile appunto pel vivere nello ozio, è da cercare s’e’ può intervenire, ch’ella serva ancora ad altro. Chè invero la natura sua è più degna, che non è il bisogno detto, e debbesi mediante lei non solamente partecipare del comune piacere da lei derivante, e del quale ogn’uomo ha sentimento perchè la musica ha un piacer naturale, e però l’uso d’essa è amato da ogni età, e da ogni costume. Ma veggiamo se in modo alcuno ella serve al costume dell’animo.

E questo ci interverrà, se noi diventeremo per suo mezzo di qualche costume. Ma per le melodie d’Olimpo è certo che noi diventiamo, chè tale certamente astrae l’anima dai sensi, e l’astrazione non è altro che una affezione di costume intorno all’anima. Ancora e’ si vede, che nell’udire le imitazioni gli uomini hanno compassione a quei casi, e benchè elle sieno senza numero, e senza melodia.

Ma essendo la musica infra le cose piacevoli, e la virtù consistendo intorno al ben rallegrarsi, e al bene amare, e al bene portar odio, perciò bisogna imparare e avezzarsi a nessun’altra cosa più che a poter giudicare rettamente, e a pigliarsi piacere dei costumi buoni, e delle azioni oneste. Sono oltra di ciò nei numeri e nelle melodie le similitudini quasi delle vere nature dell’ira, e della mansuetudine, e della fortezza, e della temperanza, e di tutti i loro contrarî, e d’ogn’altra virtù morale. E questo ci si manifesta per l’opere stesse, conciossiachè udendo tai melodie noi mutiamo l’animo. Ma l’avvezzarsi nei casi simili a dolersi, e a rallegrarsi è