Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/368

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signore di numeroso popolo, padrone di molte terre, provveduto di grandi ricchezze?». La considerazione ch’egli ritiene piú grave contro il Troya è, però, che Uguccione ha perduto ogni dominio nel 1316 e che la Divina Commedia non usci alla luce se non dopo la morte dell’Alighieri; questi, quindi, avrebbe dovuto cancellare i versi del primo canto se in essi avesse parlato di Uguccione. «Dante non scriveva un poema a semplice sfogo di bell’ingegno: egli aspirava a dominare le opinioni, ad influire potentemente sui sentimenti degli uomini, e massimamente degli italiani. Tutte le sue parole adunque, e sopratutto la introduzione del suo poema dovevano acquistargli fede, dovevano conciliargli autoritá. Ma quale fede, quale autoritá sarebbesi meritato Dante appo gl’italiani, se avessero inteso annunziarsi da lui come speranza della nazione una meteora malefica, e giá bruttamente dileguata?» (1) Infine, secondo il Todeschini, Feltro e Feltro stan bene ad indicare la patria di Cangrande, per Lombardia, la quale, come dice il Boccaccio a proposito di «li parenti miei furon lombardi», è «provincia situata tra il monte Appennino e l’Alpi, e il mare Adriano».

È combattuta pure l’opinione del Troya, che Uguccione sia il veltro, in uno scritto giovanile del Vigo( J ), il quale si domanda: «... fino a questo anno (1308) quali speranze aveva date Uguccione piú di altri signori ghibellini alla fazione imperiale?... s’egli avesse creduto Uguccione della Faggiuola il liberatore d’Italia, come mai poteva dire la patria nostra priva d’ogni speranza..., esaltare di tanta straordinaria letizia alla discesa di Arrigo?». E dopo aver affermato che «il divino poeta non ha voluto indicare nissuno particolarmente» e che la «solenne restaurazione doveva farsi nel mondo colla pace e coll’amore, per mezzo di uno cioè che ispirato dalle istituzioni evangeliche volgesse il mondo ad una vera prosperitá», conclude che «nondimeno le imprese del duce ghibellino poterono senza dubbio far risorgere il divino poeta (1) Il Todeschini riporta qui in nota un passo della lettera diretta dal prof. Blanc di Halla a Cesare Balbo e pubblicata nella Rivista Europea (fase..1-2, a. 1S42), in cui si legge la stessa obiezione svolta piú ampiamente dal Todeschini: e cioè: «Questo condottiere (Uguccione) aveva perduto stato, possanza e vita, avanti che la Divina Commedia fosse terminata od almeno data alla luce». (2) P. Vigo, Uguccione della Faggiola potestá di Pisa e di Lucca, Livorno, F. Vigo ed., 1679; app. c. Ili, Uguccione della Faggiuola e Dante Alighieri.