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questo introduce un veneto chiamato Marco Lombardo, a compiangere i mali di quella contrada italiana, e la cessazione del suo antico splendore: tre vecchi vivevano al principio del 1300, Marco diceva; tre soli vecchi, ed in onta del secolo. Spenti essi, ogni cortesia sarebbe mancata ed ogni valore tornato al nulla: erano Corrado di Palazzo da Brescia, e Guido di Castello da Reggio, e Gerardo di Camino giá signor di Trevigi e padre della celebre Caia. Ed ecco, non altrimenti che la Romagna e la Toscana, tutta la Lombardia compresa nei rimproveri del poeta: dai quali egli niuno, salvo i tre, n’eccettuava. E riparlò di Verona, ma senza far motto dei due Scaligeri che regnavano; scagliandosi anzi contro il lor padre Alberto (Purg. XVIII, 121-123) e piú contro il fratello Giuseppe abate di San Zeno; del quale biasimò i natali e le qualitá non meno deH’animo che del corpo (ibid., 124-126). Siffatti oltraggi contro due della famiglia, e il suo silenzio intorno a Cane Grande bastino a far prova di quanto poco in quel tempo calesse a Dante di Cane.

Accompagnato intanto dallo Scaligero e dagli altri signori d’Italia l’imperatore Arrigo VII dalla sottomessa Brescia venne a Pavia, donde spedi nuovi ainbasciadori di pace a Firenze: di tal numero furono Niccolò vescovo di Butrintò e fra Bernardo di Montepulciano, entrambi dell’ordine dei predicatori. Di Pavia il re dei romani si recò a Genova; quivi Branca Doria, che vi tenea la somma delle cose, il ricevè a grandissimi onori. Con Arrigo VII rientrarono i Fieschi nella cittá, che da piú di anni quaranta n’erano stati esiliati. Rientrarono gli altri fuorusciti: lieto presagio, per cui gli animi degli italiani giá disponevansi a generale concordia. In mezzo a cotali feste, giunse in Genova l’annunzio della morte di Alboino Scaligero, la quale costrinse Cane Grande al ritorno. Ingloriosi giorni trasse Alboino, e la pochezza dell’animo suo fu notata dall’Alighieri: se la nobiltá, questi dicea (Convito), consistesse negli onori e nella dominazione, Alboino della Scala sarebbe anco piú nobile che Guido di Castello da Reggio! Un motto così pungente chiarisce l’error di coloro, che questo