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294 la vita italiana


Teodora scorse rapidamente quei nomi che le erano noti ed appartenevano tutte all’alta aristocrazia, scrutò un istante la lista delle cifre, poi chiese:

— Avete una matita?

— No, me ne dispiace, ma, se permettete, vi porto il calamaio.

— Grazie, Collalto. Mi firmerò volentieri da ambe le parti. Mi spiegherete poi... e, intingendo la penna nella piccola coppa di malachite, legata in argento ossidato, ch’egli le offriva, senza esitare, scrisse sopra uno dei fogli il suo nome e L. 200, sull’altro il suo nome solo ch’ella faceva sempre coll’h: Theodora di Faucigny.

Il giovane, nel riporre le carte, contemplò avidamente la firma ch’era sul foglio delle prestazioni coll’opera. Era un carattere insolito, irregolare, dalle maiuscole un po’ ricercate.

— La scrittura è molto alterata, o non è lei, pensò, e, pur accusandosi di fatuità, gli parve che un senso strano di amarezza e di disillusione gli scendesse in cuore.

— Siete preoccupato, Collalto? domandò la giovane, vedendo che, dopo averla ringraziata, egli era rimasto un po’ meditabondo.

— Io preoccupato? no, pensavo a certe scritture di donna.

— In apparenza, si somigliano tutte, ma a chi le considerasse con una certa attenzione, quante differenze apparirebbero, quante sfumature delicate! Dicono che la scrittura riveli il carattere.

— La vostra scrittura è originale, contessa; si toglie dalle altre.

— È brutta, volete dire... ma, di grazia, dove l’avete vista?

— Strana domanda!... La vedo qui nella firma gentilmente concessami!

— La firma è diversa dalla mia scrittura... si è più solenni, quando si firma.

— Ah, scrivete molto voi? Avete una corrispondenza estesa? domandò il giovane guardandola con un’attenzione profonda.

— L'avrei, se volessi, ma è una cosa che mi stanca. Sono fra quelle poche che, scrivendo, rivelano molto il loro pensiero, e, come dopo m’accade di rimpiangere le mie effusioni, scrivo assai poco.

— Anche ora avete delle effusioni da rimpiangere? chiese egli con un fine sorriso.

— Ne ho sempre, Collalto... è così difficile l’esser capiti!... Ma, intendetemi bene... dalle amiche, voglio dire. Una cara corrispondenza per me, quando sono fuori di Roma, è quella di Luisa Hercolani, che cela un forte ingegno e molto sentimento nella più quieta apparenza... è forse l’unica a cui io creda. D’altronde io non scrissi mai a un uomo fuori di qualche insulso biglietto richiesto da convenienze sociali.

Ma, nel proferire quelle semplici parole: «Io non scrissi mai a un uomo», Teodora di Faucigny si fece di fuoco. Che cosa pensava ella in quel momento?

Patrizio finse di non accorgersene, benchè rimanesse assai turbato. Non avevano forse lo scopo di sviare il suo sospetto?

— Peccato! diss’egli con una certa galanteria, alzandosi. Mi piacerebbe ricevere una vostra lettera, Teodora... ma non ne sono degno.

Egli aveva qualche volta un modo irresistibile di pronunziare il nome di una donna.

La contessa di Faucigny gli rispose ridendo:

— Qual bizzarro umore è il vostro!... ma il suo sorriso non riuscì a dissimulare il lieve pallore che le si era diffuso sul volto, nè quella espressione di tristezza sentimentale che tanto piaceva a Patrizio.

Tuttavia egli dovette andarsene senza aver capito nulla, e finì col rimproverarsi di essere presuntuoso e di avere ascoltate le lusinghe suggeritegli da una stolta vanità.

Ad onta di questo, il principe si trovò, senz’accorgersi, nell’anticamera del palazzo di Samoclevo.

Dopo aver attraversato due o tre sale di un gusto molto rieco ma sobrio, egli fu introdotto in un salotto col parato d’arazzi e piombò in mezzo ad uno sciame di leggiadre fanciulle, le quali, presiedute dalla principessa Cristina di Samoclevo e dalla sua figliuola Clara, gustavano il thè delle cinque tra i frizzi spiritosi e le risa argentine.

Facevano parte del circolo le duchessine della Floria, due tipi quasi identici e freddi d’anemiche in cui si era compendiata l’insipida raffinatezza d’una stirpe incolume da nozze plebee; la vispa contessina d’Oristano, un vero folletto tutto grazia e disinvoltura, dai capelli neri e ricci, dagli occhi neri e sfavillanti, dalla bocca ridente, figlia unica che sapeva abilmente sottrarsi all’assedio dei