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VITA DI GIOTTO 127

(versione diplomatica)


(versione critica)


quantità di poveri rattratti, sono molto lodevoli e deono essere, appresso gl’artefici, in pregio, perchè da essi si è avuto il primo principio e modo di farli; senzachè non si può dire che siano, come primi, se non ragionevoli. Ma sopra tutte l’altre cose che sono in questa opera, è maravigliosissimo l’atto che fa la sopra detta beata verso certi usurai che le sborsano i danari dalla vendita delle sue possessioni per dargli a’ poveri; perchè in lei si dimostra il dispregio de’ danari e dell’altre cose terrene, le quali pare che le putino; et in quelli il ritratto stesso dell’avarizia e ingordigia umana. Parimente la figura d’uno che annoverandole i danari, pare che accenni al notaio che scriva, è molto bella; considerato, che sebbene ha gli occhi al notaio, tenendo nondimeno le mani sopra i danari, fa conoscere l’affezione, l’avarizia sua e la diffidenza. Similmente le tre figure che in aria sostengono l’abito di S. Francesco, figurate per l’Ubbidienza, Pacienza e Povertà sono degne d’infinita lode, per essere massimamente nella maniera de’ panni un naturale andar di pieghe, che fa conoscere che Giotto nacque per dar luce alla pittura. Ritrasse oltre ciò tanto naturale il signor Malatesta in una nave di questa opera, che pare vivissimo: et alcuni marinari et altre genti nella prontezza, nell’affetto e nell’attitudini, e particolarmente una figura, che parlando con alcuni, e mettendosi una mano al viso, sputa in mare, fa conoscere l’eccellenza di Giotto. E certamente fra tutte le cose di pittura fatte da questo maestro, questa si può dire che sia una delle migliori; perchè non è figura in sì gran numero, che non abbia in sè grandissimo artifizio e che non sia posta con capricciosa attitudine. E però non è maraviglia, se non mancò il signor Malatesta di premiarlo magnificamente e lodarlo. Finiti i lavori di quel Signore, fece, pregato da un priore fiorentino che allora era in S. Cataldo d’Arimini, fuor della porta della chiesa, un S. Tommaso d’Aquino che legge a’ suoi frati. Di quivi partito, tornò a Ravenna, et in S. Giovanni Evangelista fece una capella a fresco lodata molto. Essendo poi tornato a Firenze con grandissimo onor e con buone facultà, fece in S. Marco a tempera un Crucifisso in legno maggiore che il naturale e in campo d’oro, il quale fu messo a man destra in chiesa; et un altro simile ne fece in S. Maria Novella, in sul quale Puccio Capanna, suo creato, lavorò in sua compagnia: e quest’è ancor oggi sopra la porta maggiore nell’entrare in chiesa a man destra sopra la sepoltura de’ Gaddi. E nella medesima chiesa fece sopra il tramezzo un S. Lodovico e Paulo di Lotto Ardinghelli, et a’ piedi il ritratto di lui e della moglie, di naturale. L’anno poi 1327 essendo Guido Tarlati da Pietramala, vescovo e signore d’Arezzo, morto a Massa di Maremma nel tornare da Lucca, dove era stato a visitare l’Imperatore, poi che fu portato in Arezzo il suo corpo, e lì ebbe avuta l’onoranza del mortorio onoratissima, deliberarono Piero Saccone e Dolfo da Pietramala, fratello del vescovo, che gli fosse fatto un sepolcro di marmo degno della grandezza di tanto uomo, stato signore spirituale e temporale, e capo di Parte ghibellina in Toscana. Per che, scritto a Giotto che facesse il disegno d’una sepoltura ricchissima, e quanto più si potesse onorata, e mandatogli le misure, lo pregarono appresso, che mettesse loro per le mani uno scultore il più eccellente, secondo il parer suo, di quanti ne erano in Italia, perchè si rimettevano di tutto al giudizio di lui. Giotto, che cortese