Pagina:Venezia – Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Vol. III, Parte II, 1916 – BEIC 1906568.djvu/61

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sono astretti andare dal castigo ch’altrimenti è imposto, il qual senza indulgenza alcuna si eseguisce. Sono le pene di tre sorti: chi non ci va la prima volta, cade in pena di pagar danari ; chi non comparisce la seconda, è punito con la tortura; chi non si vede la terza, è condannato alla catena in galera; ma non vi è alcuno, che, essendo incorso nella prima pena, voglia poi aspettar la seconda. Sono obbedienti al capitano ed uniti fra se medesimi, perché nei primi anni dell’^istituzione loro s’usò gran diligenza a correggerli ed a rinchiuderli dentro dei termini della modestia e della quiete, estirpando le discor- die che vivevano fra loro. Sono cosi ben ordinati, che in spazio di quattro giorni si possono radunare tutti insieme con le loro insegne, mandandosi con celeritá il comandamento per lo Stato, e per il buon ordine convocandosi presto, e per l’ubbidienza incamminandosi subito dove sono destinati. Per il governo e per li provvedimenti di questa milizia sono deputati due commissari, gentiluomini fiorentini, eletti dal gran- duca con stipendio di 500 scudi l’anno per uno, i quali hanno carico di rivederla con l’aiuto di due sargenti, per questo pa- gati per fare le mostre. Vi è ben il capitan generale della fan- teria, il qual è ora il signor Prospero Colonna, con provvisione di 2000 scudi all’anno; ma non conosce né vede mai questi soldati, i quali sempre sono stati tenuti come una milizia se- parata dall’altra, ché cosi si è costumato di fare fin adesso. Ma questo granduca pare che abbia pensiero differente. Sono stati questi soldati sempre fidelissimi al loro principe per gli emolumenti d’onore e di commodo che ne riportano, e massime perché fu instituita questa milizia, quando si riformò il governo di Fiorenza al tempo di papa Clemente settimo, che fece trasferire tutta l’autoritá dei magistrati nella persona d’A- lessandro de’ Medici, fatto capo della republica e duca di tutto lo Stato; considerando allora che, per assicurarsi dei cittadini e per poter conservare il dominio, bisognava disarmare, come si fece, la cittá ed estinguere quei ordini, per li quali il popolo si radunava sotto i suoi vessilli e sotto i suoi capi ; e, per non mancare di forze, fu necessario armare i! contado ed ordinarlo