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sua casuccia, senza alcun motivo, si diede a correre come una cerbiatta innamorata. Janu la raggiunse, ella si appoggiò all’uscio, tutta rossa e sorridente, e gli allungò un pugno sul dorso. — To’!

Egli ripicchiò con galanteria un po’ manesca.

— O quanto l’hai pagato il tuo fazzoletto? domandò Nedda togliendoselo dal capo per sciorinarlo al sole e contemplarlo in aria festosa.

— Cinque lire, rispose Janu un po’ pettoruto.

Ella sorrise senza guardarlo; ripiegò accuratamente il fazzoletto, studiando i segni che avevano lasciato le pieghe, e si mise a canticchiare una canzonetta che non soleva tornarle in bocca da lungo tempo.

La pentola rotta posta sul davanzale era ricca di garofani in boccio.

— Che peccato, disse Nedda, che non ce ne siano di fioriti! e spiccò il più grosso bocciolo e glielo diede.