Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/193

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di una grande velocità. Un enorme bilanciere si alzava e si abbassava successivamente al disopra del ponte; ad una delle sue estremità s’inarticolava il fusto di uno stantuffo, ed all’altra quello di una leva, che trasformando il movimento rettilineo in movimento circolare si applicava direttamente all’albero delle ruote. Il General Grant era attrezzato come un tre alberi goletta, e possedeva una grande superficie di velatura, che aiutava potentemente il vapore. Facendo le sue dodici miglia all’ora, il piroscafo non ci doveva mettere più di ventun giorno ad attraversare il Pacifico. Phileas Fogg era dunque in diritto di credere che, deposto il 2 dicembre a San Francisco, egli sarebbe l’11 a Nuova York e il 20 a Londra, — anticipando così di qualche ora quella data fatale del 21 dicembre.

I passeggieri erano in buon numero a bordo dello steamer: degli Inglesi, molti Americani, una vera emigrazione di coolies per l’America, e un certo numero d’ufficiali dell’esercito delle Indie, che profittavano del loro congedo facendo il giro del mondo.

Durante il tragitto non accadde alcun incidente nautico. Il piroscafo, sostenuto sulle sue larghe ruote, appoggiato dalla sua robusta velatura, rollava poco. L’Oceano Pacifico giustificava a sufficienza il suo nome. Il signor Fogg era calmo e poco comunicativo come d’ordinario. La sua giovine compagna si sentiva sempre più avvinta a quell’uomo con altri vincoli che quelli della riconoscenza. Quella natura silenziosa, così generosa nel suo complesso, l’impressionava più ch’ella nol credesse, e quasi inconsapevolmente ella si lasciava invadere da sentimenti di cui l’enigmatico Fogg non pareva subire menomamente l’influenza.

Inoltre, mistress Auda s’interessava prodigiosamente