Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/63

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visto, Phileas Fogg ritornò a bordo a ripigliarvi la sua partita interrotta.

Gambalesta gironzò, al suo solito, in mezzo a quella popolazione di Somanlì, di Baniani, di Parsì, di Ebrei, d’Arabi, d’Europei, componenti i 25,000 abitanti di Aden. Egli ammirò le fortificazioni che fanno di questa città la Gibilterra del mar delle Indie, e certe magnifiche cisterne, alle quali lavoravano ancora gl’ingegneri del re Salomone.

«Curiosissimo, curiosissimo! diceva tra sè Gambalesta, tornando a bordo. Mi accorgo che non è inutile viaggiare, se si vuol vedere qualcosa di nuovo.»

Alle sei di sera, il Mongolia squarciava colle braccia della sua elica le acque della rada di Aden e si avventava frettoloso sul mar delle Indie. Gli erano concesse centosessantott’ore per compiere il tragitto fra Aden e Bombay. Del resto, il mare indiano gli fu favorevole. Il vento soffiava da nord-ovest. Le vele vennero in aiuto al vapore.

Il bastimento, meglio appoggiato, rollò meno. Le passaggiere, in eleganti telette, comparvero sul ponte. I canti e le danze ricominciarono.

Il viaggio si compiè adunque nelle migliori condizioni. Gambalesta era entusiasta dell’amabile compagno, che il caso aveagli procurato nella persona di Fix.

La domenica 20 ottobre, verso mezzodì, si giunse in vista della terra indiana. Due ore più tardi, il pilota saliva a bordo del Mongolia. All’orizzonte una catena di monti si profilava armoniosamente sul fondo del cielo. Di lì a poco, le file di palmizî che coprono la città spiccarono distintamente. Il piroscafo penetrò in quella rada formata dalle isole S