Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/99

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on lasciò però i suoi compagni nel luogo in cui si erano rifugiati, e li ricondusse verso la parte anteriore del bosco. Colà, riparati da un fitto di alberi, essi potevano osservare i gruppi addormentati.

Frattanto Gambalesta, appollaiato sui primi rami, ruminava un’idea che eragli balenata alla mente e che finì per incrostarsi nel suo cervello.

Egli aveva incominciato per dire a sè stesso: «Quale pazzia!» ed ora ripeteva: «Perchè no, alla fin fine? È una probabilità, forse la sola, e con questi animali!...»

Checchè ne fosse, Gambalesta non manifestò a nessuno il suo pensiero, ma non tardò a portarsi con l’agilità di un serpente sui bassi rami, la cui estremità si curvava verso il suolo.

Le ore trascorrevano, e ben presto alcune tinte meno cupe annunciarono l’avvicinarsi dell’alba. Però l’oscurità era profonda ancora.

Era il momento. Accadde come una risurrezione in quella folla assopita. I gruppi si animarono. Dei colpi di tam-tam risuonarono. Canti e grida scoppiarono di bel nuovo. Era giunta l’ora in cui l’infelice doveva morire.

Difatti le porte della pagoda si aprirono. Una luce più viva si sprigionò dall’interno; il signor Fogg e sir Francis Cromarty poterono scorgere la vittima, vivamente rischiarata, che due preti trascinavano fuori. Loro parve anzi che, scuotendo l’irrigidimento dell’ubbriachezza con un supremo istinto di conservazione, la infelice tentasse fuggire a’ suoi carnefici. Il cuore di sir Francis balzò, e con un moto