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Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/143

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regalo da nulla quello che faremo al nostro Paese. La colonizzazione è quasi compiuta. Tutte le parti dell’isola hanno il loro nome, vi è un porto naturale, vi sono strade, una linea telegrafica, un cantiere, un’officina, e non si avrà a far altro che inscrivere l’isola Lincoln sulle carte.

— E se ce la pigliano durante la nostra assenza? fece osservare Gedeone Spilett.

— Per mille diavoli! esclamò il marinajo; rimarrò io solo per farle la guardia, e in fede di Pencroff non me la ruberanno certo come un orologio dalla scarsella d’uno scimunito.

Per un’ora fu impossibile dire in modo certo se il bastimento segnalato facesse o non facesse rotta verso l’isola Lincoln; s’era, è vero, accostato, ma con quale andatura navigava! È quanto Pencroff non potè riconoscere; siccome però il vento soffiava da nord-est, era verosimile l’ammettere che quel bastimento navigasse con le mure a tribordo. D’altra parte, il vento era buono per giungere ad approdare nell’isola, e con quel mare placido non poteva temere di avvicinarsi, benchè gli scandagli non fossero notati sulla carta.

Verso le quattro, vale a dire un’ora dopo l’avviso avuto, Ayrton giungeva al Palazzo di Granito, ed entrava nella gran sala dicendo:

— Agli ordini vostri, signori.

Cyrus Smith gli porse la mano come era uso fare, e conducendolo presso alla finestra, gli disse:

— Ayrton, vi abbiamo pregato di venire per un grave motivo. Una nave è in vista dell’isola.

Ayrton sulle prime impallidì lievemente e gli occhi suoi si turbarono un istante, poi curvandosi fuor della finestra, percorse l’orizzonte, ma non vide nulla.

— Pigliate il cannocchiale, disse Gedeone Spilett, e guardate bene, Ayrton, perchè potrebbe darsi che quella nave fosse il Duncan, venuto in questi mari per ricondurvi in patria.