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108 un dramma in aria.


Dovevamo partire al mezzodì. Era uno spettacolo magnifico; la folla impaziente si stringeva intorno al ricinto riservato, inondava la piazza, si rovesciava nelle vie circostanti e tappezzava le case dal pian terreno ai tetti di lavagna. I gran venti dei passati giorni avevan fatto silenzio, un calore soffocante scendeva dal cielo senza nugoli. Non era soffio che animasse l’atmosfera. Con siffatto tempo si poteva ridiscendere nel luogo preciso che si aveva lasciato.

Portavo meco trecento libbre di zavorra ripartite in sacchi; la navicella, assolutamente tonda, di quattro piedi di diametro e di tre di profondità, era accomodata benissimo. La rete di corde che la sosteneva si estendeva simmetricamente sull’emisfero superiore dell’aerostato, la bussola era al suo posto, il barometro sospeso al circolo che riuniva le corde del sostegno, l’àncora pronta — potevamo partire. Fra le persone che si stringevano attorno al ricinto, notai un giovinotto dalla faccia pallida, dai lineamenti sconvolti. La sua vista mi impressionò, egli era un osservatore assiduo delle mie ascensioni e già lo aveva incontrato in molte città di Germania. Inquieto, contemplava avidamente la bizzarra macchina, immobile a pochi piedi da terra, e se ne stava silenzioso fra tutti i suoi vicini.

Suonò il mezzodì; era il momento. I miei compagni di viaggio non si mostravano. Mandai al domicilio di ciascuno di essi e seppi che uno era partito per Amburgo, l’altro per Vienna, il terzo per Londra. Al momento di intraprendere una di quelle escursioni che, grazie all’abilità degli areonauti d’oggidì, sono esenti d’ogni pericolo, era loro venuto meno l’ardire.

Siccome essi facevano in certo modo parte del programma della festa, avevano avuto timore di essere obbligati ad eseguirlo fedelmente e se n’erano fuggiti lontano dal teatro al momento in cui si levava il sipario. Il loro coraggio era evidentemente in ragione inversa del quadrato della loro velocità... a svignarsela. La folla, molto malcontenta, si dimostrò di malumore. Io non esitai a partir solo; affine di ristabilire l’equilibrio fra il peso specifico del pallone ed il peso che avrebbe dovuto essere sollevato, sostituii i miei compagni con