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capitolo i. 113


«Forse avremo un uragano, disse il giovinotto.

— Scenderemo prima, risposi.

— Che dite! È meglio salire! Ce la caveremo più sicuramente.

Ed altri due sacchi di sabbia se ne andarono nello spazio.

Il pallone si sollevò rapidamente e si fermò a mille e dugento metri. Si provava un freddo vivissimo, e frattanto i raggi del sole che percotevano l’invoglio, dilatavano il gas interno e gli davano più gran forza ascensionale.

«Non temete di nulla, disse l’incognito. Abbiamo tre mila e cinquecento tese d’aria respirabile. Del resto non datevi pensiero di quello ch’io faccio.

Volli levarmi, ma una mano vigorosa m’inchiodò sul mio banco.

«Il vostro nome? domandai.

— Il mio nome? Che v’importa?

— Vi domando il vostro nome.

— Mi chiamo Erostrato od Empedocle, a vostra scelta.

Questa risposta non aveva nulla di rassicurante. Del resto l’incognito parlava con sì singolare placidezza, che io mi domandai, non senza inquietudine, con chi avessi a fare.

«Signore, proseguì egli a dire, non fu immaginato nulla di nuovo dopo il fisico Charles. Quattro mesi dopo la scoperta degli aereostati, codesto abile uomo aveva inventato la valvola che lascia sfuggire il gas quando il pallone è troppo pieno o si vuole discendere; la navicella che rende facili le manovre della macchina; la rete che contiene l’invoglio del pallone e spartisce il carico su tutta la sua superficie; la zavorra che permette di salire e di scegliere il luogo per la discesa; l’intonaco di gomma elastica che rende il tessuto impermeabile; il barometro che indica l’altezza a cui si è giunti. Infine Charles adoperava l’idrogeno che, quattordici volte meno pesante del l’aria, lascia pervenire ai più alti strati atmosferici e non espone ai pericoli d’un incendio aereo. Il primo dicembre 1783, trecento mila spettatori si pigiavano intorno alle Tuileries. Charles si sollevò ed i soldati gli presentarono le armi; egli