Pagina:Verri - Osservazioni sulla tortura, Milano 1843.djvu/43

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sulla tortura. 35


Come poi subissero la pena, il canonico Giuseppe Ripamonti, che era vivo in que’ tempi, ce lo dice: Confessique isti flagitium, et tormentis omnibus excruciati perseveravere confitentes donec in patibulum agerentur. Ibi demum juxta laqueum inter carnificis manus de sua innocentia ad populum ita dixere: mori se libenter ob scelera alia, quae admisissent; caeterum unguenti artem se factitavisse nunquam, nulla sibi veneficia aut incantamenta nota fuisse. Ea sive insania mortalium, sive perversitas, et livor astusque daemonis erat. Sic indicia rerum, et judicum animi magis magisque confundebantur1. «Dopo di avere ne’ tormenti confessato ogni delitto, di cui erano ricercati, protestano all’atto di subire la morte di morir rassegnati per espiare i loro peccati avanti Dio, ma di non aver mai saputo l’arte di ungere, nè fabbricar veleni, nè sortilegi.» Così dice il Ripamonti, che pure sostiene l’opinione comune, cioè che fossero colpevoli.

Le crudeltà usate da più di un giudice in quel disgraziato tempo giunsero a segno, che più di uno fu tormentato tant’oltre da morire fra le torture: il Ripamonti lo dice, e in vece d’incolpare la ferocia de’ giudici, va al suo solito a trovarne la meno ragionevole cagione, cioè che il Demonio gli strangolasse: Constitit flagitii reos in tormentis a Daemone fuisse strangulatos2.

Il cardinale {{{2}}}, nostro illustre arcivescovo in quei tempi, dubitava della verità del delitto, e in una di lui scrittura inserita nel Ripamonti3 cosi disse: Non potuere privatis sumptibus haec portenta patrari. Regum, principumque nullus opes authoritatemque comodavit. Ne caput quidem, auctorve quispiam unctorum istorum, furiarumque reperitur; et haud parva conjectura vanitatis est, quod sua sponte evanuit scelus, duraturum haut dubio usque in extrema, si vi aliqua consilioque certo niteretur. Media inter haec sententia, mediumque inter ambages dubiae historiae iter. «Non si sarebbe co’ danari d’un semplice privato potuto fare una così portentosa cospirazione. Nessun re o principe ne somministrò i mezzi, o vi diè protezione. Non apparve nemmeno chi fosse l’autore o il capo di tali unzioni e furiosi disegni; e non è piccola congettura che fosse un sogno il vedere una tale cospirazione svanita da sè, mentre avrebbe dovuto durare sino al totale esterminio, se eravi una forza, un disegno, un progetto, che dirigessero una tale sciagura. Fra tali dubbietà e incertezze deve la storia farsi la strada.» Nè quel solo illuminato cardinale vi fu allora che ne dubitasse, che anzi convien dire che la dubitazione fosse di varj, poiché tanto il Ripamonti che il Somaglia, e altri scrittori di que’ tempi, si estendono a provare la reità

  1. Pag. 74.
  2. Pag. 115.
  3. Pag. 178.