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10. Multa ad Historiam Hungaricam sui temporis.

11. Otia, seu Carmina.

Michele Veranzio, fratello dell’Arcivescovo, non fece così luminosa figura. Egli si stancò di sopportare lo Statileo, e visse disagiatamente per qualche tempo in Ungheria, poi finalmente tornossene a Sibenico. Egli scrisse con più purgato stile che quello d’Antonio, così in prosa, come in versi. Il Tomco Marnavich cita un’Opera di Michele Veranzio sopra la Storia Ungarica de’ suoi tempi: ma di questa non si trova più che un frammento attinente all’anno MDXXXVI. Non so se di lui v’abbia altra cosa stampata che un’Elegia fra i Versi Latini di Girolamo Arconati. Lasciò mss. alcuni pezzi di Poesia non ineleganti, e un’Orazione ai Transilvani, colla quale vuol persuaderli a mettersi piuttosto sotto la protezione del Turco, che divenir sudditi del Re Ferdinando.

Fausto, e Giovanni, figli di Michele, furono affidati allo Zio Antonio perchè pensasse alla loro educazione. Di Giovanni ci rimangono alcuni Epigrammi da scuola. Egli morì giovinetto in battaglia. Fausto visse lungamente ed avrebbe potuto essere ricco, e felice: ma la sua fervidezza lo fece essere mediocremente provveduto, ed inquieto. Ebbe delle traversie per aver compromesso sconsigliatamente la Corte d’Ungheria con quella di Roma in materia beneficiaria; e quindi morì Vescovo di Canadio, in partibus. Pubblicò in Venezia un Dizionarietto Pentaglotto nel MDXCV, indi un Volume in fol., intitolato Le Macchine, e una brevissima Logichetta, in 24., sotto il nome di Giusto Verace. Per quest’ultimo Opuscolo entrò in relazione con due celeberrimi Uomini, vale a dire con F. Tommaso Campanella, e coll’Arci-