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170 libro secondo - sezione seconda - capo terzo


alla metafisica e alla morale. Ma Esopo aveva innanzi dati tali avvisi per somiglianze, delle quali piú innanzi i poeti si eran serviti per ispiegarsi. E l’ordine dell’umane idee è d’osservare le cose simili, prima per ispiegarsi, dappoi per pruovare; e ciò, prima con l’esemplo che si contenta d’una sola, finalmente con l’induzione che ne ha bisogno di piú. Onde Socrate, padre di tutte le sètte de’ filosofi, introdusse la dialettica con l’induzione, che poi compiè Aristotile col sillogismo, che non regge senza un universale. Ma alle menti corte basta arrecarsi un luogo dal somigliante per essere persuase; come con una favola, alla fatta di quelle ch’aveva truovato Esopo, il buono Menenio Agrippa ridusse la plebe romana sollevata all’ubbidienza.

425Ch’Esopo sia stato un carattere poetico de’ soci ovvero famoli degli eroi, con uno spirito d’indovino lo ci discuopre il ben costumato Fedro in un prologo delle sue Favole:

Nunc fabularum cur sit inventum genus,
Brevi docebo. Servitus obnoxia,
Quia, quae volebat, non audebat dicere,
Affectus proprios in fabellas transtulit.
Aesopi illius semita feci viam,

come la favola della societá lionina evidentemente lo ci conferma. Perché i plebei erano detti «soci» dell’eroiche cittá, come nelle Degnitá si è avvisato, e venivano a parte delle fatighe e pericoli nelle guerre, ma non delle prede e delle conquiste. Per ciò Esopo fu detto «servo», perché i plebei, come appresso sará dimostro, erano famoli degli eroi. E ci fu narrato brutto, perché la bellezza civile era stimata dal nascere da’ matrimoni solenni, che contraevano i soli eroi, com’anco appresso si mostrerá. Appunto come fu egli brutto Tersite, che dev’essere carattere de’ plebei che servivano agli eroi nella guerra troiana, ed è da Ulisse battuto con lo scettro di Agamennone; come gli antichi plebei romani a spalle nude erano battuti da’ nobili con le verghe, «regium in morem», al narrar