Pagina:Vico, Giambattista – La scienza nuova seconda, Vol. II, 1928 – BEIC 1964822.djvu/34

Da Wikisource.
28 libro terzo - sezione prima - capo quinto


XV

Che gli stessi Pisistratidi ordinarono ch’indi in poi da’ rapsodi fussero cantati nelle feste panatenaiche, come scrive Cicerone, De natura deorum, ed Eliano, in ciò seguito dallo Schederò.

XVI

Ma i Pisistratidi furono cacciati da Atene pochi anni innanzi che lo furon i Tarquini da Roma: talché, ponendosi Omero a’ tempi di Numa, come abbiam sopra pruovato, pur dovette correre lunga etá appresso ch’i rapsodi avessero seguitato a conservar a memoria i di lui poemi. La qual tradizione toglie affatto il credito all’altra di Aristarco ch’a’ tempi de’ Pisistratidi avesse fatto cotal ripurga, divisione ed ordinamento de’ poemi d’Omero, perché ciò non si potè fare senza la scrittura volgare, e sí da indi in poi non vi era bisogno piú de’ rapsodi che gli cantassero per parti ed a mente.

XVII

Talché Esiodo, che lasciò opere di sé scritte, poiché non abbiamo autoritá che da’ rapsodi fusse stato, com’Omero, conservato a memoria, e da’ cronologi, con una vanissima diligenza, è posto trent’anni innanzi d’Omero, si dee porre dopo de’ Pisistratidi. Se non pure, qual’i rapsodi omerici, tali furono i poeti ciclici, che conservarono tutta la storia favolosa de’ greci dal principio de’ loro dèi fin al ritorno d’Ulisse in Itaca. I quali poeti, dalla voce κύκλος, non poteron esser altri ch’uomini idioti che cantassero le favole a gente volgare raccolta in cerchio il dí di festa; qual cerchio è quell’appunto che Orazio nell’Arte dice «vilem patulumque orbem», che ’l Dacier punto non riman soddisfatto de’ commentatori, eli’Orazio ivi voglia dir «i lunghi episodi». E forse la ragione di punto non soddisfarsene ella è questa: perché non è necessario