Pagina:Vico - Autobiografia, carteggio e poesie varie, 1929 - BEIC 1962407.djvu/31

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Piccolomini, i Mattei Acquavivi, i Franceschi Patrizi, ed avea tanto conferito alla poesia, alla storia, all'eloquenza, che tutta Grecia, nel tempo che fu più dotta e ben parlante, sembrava essere in Italia risurta - era ella riputata degna da star racchiusa ne' chiostri; e di Platone soltanto si arrecava alcun luogo in uso della poesia, o per ostentare un'erudizion da memoria. Si condannava la logica scolastica, e si appruovava riporsi in di lei luogo gli Elementi di Euclide. La medicina, per le spesse mutazioni de' sistemi di fisica, era decaduta nello scetticismo, ed i medici avevano incominciato a stare sull'acatalepsia o sia incomprendevolità del vero circa la natura dei morbi, e sospendersi sull'epoca o sia sostentazion dell'assenso a darne i giudizi e adoperarvi efficaci rimedi; e la galenica, la quale, coltivata innanzi con la filosofia greca e con la greca lingua, aveva dato tanti medici incomparabili, per la grande ignoranza dei suoi seguaci di questi tempi era andata in un sommo disprezzo. Gl'interpetri antichi della ragion civile erano caduti dall'alta loro riputazione nell'accademia, e salitivi gli eruditi moderni con molto danno del fòro; perché quanto questi sono necessari per la critica delle leggi romane, altrettanto quelli bisognano per la topica legale nelle cause di dubbia equità. Il dottissimo signor don Carlo Buragna aveva riportata la maniera lodevole del poetare; ma l'aveva ristretta in troppe angustie dentro l'imitazione di Giovanni della Casa, non derivando nulla o di delicato o di robusto da' fonti greci o latini o da' limpidi ruscelli delle rime del Petrarca o da' gran torrenti delle canzoni di Dante. L'eruditissimo signor Lionardo da Capova aveva rimessa la buona favella toscana in prosa, vestita tutta di grazia e di leggiadria; ma con queste virtù non udivasi orazione o animata dalla sapienza greca nel maneggiare i costumi o invigorita dalla grandezza romana in commuover gli affetti. E, finalmente, il latinissimo signor Tomaso Cornelio co' suoi purissimi Proginnasmi aveva più tosto sbigottiti gl'ingegni de' giovani che avvalorati a coltivar la lingua latina in appresso. Talché, per tutte queste cose, il Vico benedisse non aver lui avuto maestro nelle cui parole avesse egli giurato, e ringraziò quelle selve,