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254 libro secondo - sezione seconda — capitolo secondo

IV


L’ironia certamente non potè cominciare che da’ tempi della riflessione, perch’ella è formata dal falso, in forza d’una riflessione che prende maschera di verità (a)1 . E qui esce un gran principio di cose umane, che conferma l’origine della poesia qui scoverta: che i primi uomini della gentilità essendo stati semplicissimi quanto i fanciulli, i quali per natura son veritieri, le prime favole non poterono fingere nulla di falso; per lo che dovettero necessariamente essere, quali sopra ci vennero diffinite, vere narrazioni.

V

Per tutto ciò si è dimostrato che tutti i tropi (che tutti si riducono a questi quattro), i quali si sono finora creduti ingegnosi ritruovati degli scrittori, sono stati necessari modi di spiegarsi tutte le prime nazioni poetiche, e nella lor origine aver avuto tutta la loro natia piopietà. Ma poiché, col più spiegarsi la mente umana, si ritruovarono le voci che significano forme astratte, o generi comprendenti le loro spezie, o componenti le parti co’ loro intieri, tai parlari delle prime nazioni sono divenuti trasporti. E quindi s’incominciau a convellere que’ due comuni errori de’ gramatici: che ’l parlare de’ prosatori è propio, impropio quel de’ poeti; e che prima fu il parlare da prosa, dopoi del verso.

VI


I mostri e le trasformazioni poetiche provennero per necessità di tal prima natura umana, qual abbiamo dimostrato nelle Degnità2 che non potevan astrarre le forme o le propietà da’ sub-



  1. (a) [CMA4] Onde qui riflettiamo non ricordarci d’aver letto ironia in tutta l’Iliade, e perciò preghiamo il leggitore ad osservarlo, chè,»
  2. Non è ben chiaro a quale Degnità si alluda. Forse il V. voleva riferirsi alle ultime paiole della LI: «i primi poeti furono per natura».