Pagina:Vita di Dante.djvu/500

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tal civiltà. Che fin d’allora i Toscani vantassero il loro volgare come principale della lingua italiana, vedesi dal capo XIII del Volgare Eloquio. Naturalmente crebbe tal vanto di principato dopo Dante, Petrarca e Boccaccio e parecchi altri, per oltre a due secoli, che Firenze rimase pur prima della civiltà italiana. Cadutane essa, poi, per qualunque ragione, volle il principato di lei volgersi in tirannia: misera e minutissima tirannia di paroluzze o parolacce, riboboli e modi di dire popolareschi e furbeschi; che fu allora opportunamente rigettata con proteste di fatto e ricerche di diritti, come succede a tutte le tirannie. Ma il negare l’esistenza di quel principato, parmi a un tempo negazione di fatti, solenne ingratitudine ai nostri migliori, ed ignoranza dei veri interessi della lingua; la quale non si può mantenere viva e bella in niun luogo, come in quelli ov’è universalmente e volgarmente parlata.

Errò egli, dunque, Dante non riconoscendo il principato, osservato da lui e preteso da’ suoi contemporanei, del proprio dialetto? Certo sì, a parer mio; ma potè essere indotto in errore dalla novità di tal fatto non universalmente