Pagina:Vita di Dante.djvu/506

Da Wikisource.

essa, e dello stile usatovi, e così dell’intenzione generale di essa. Ma vedesi che, fissate cosi collo scrivere le proprie idee, l’autore si stancò di quest’opera, inadeguata all’ingegno suo, inadeguatissima al turbine sempre crescente delle sue idee. Ed anche in questo secondo libro ritroviamo un cenno dei desiderii dell’esule verso la patria. Per dare idea della costruzione di parole ch’ei chiama sapida, ei fa un esempio della frase seguente: "Di tutti i miseri ei mi duole; ma pietà maggiore ho di quelli qualunque sieno, i quali nell’esilio affiggendosi (tabescentes), non rivedono se non ne’ sogni la patria loro"1. Ed osservabile è quell’altro luogo, ove, accennando di che specialmente abbiano cantato i principali poeti di sua età, e dicendo che Cino da Pistoja cantò d’amore, dice di sè, chiamandosi amico di Cino, ch’

  1. Nell’ esempio che segue, di senso favorevole in apparenza al marchese d’Este, non parmi che abbia a cercarsi un altro Marchese che Azzone VIII, vituperato nel libro I, Cap. 12; né che vi sia niuna contraddizione tra que’ vituperi. Ei si vuol seguir l’opinione dell’Autore del Veltro (p. 91), che qui queste lodi sieno ironiche. Se vi fosse contraddizione, sarebbe certo inesplicabile.