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stato presidente della Municipalità, e che, coi denari, guadagnati in disonesti traffici, si costrusse la gemma delle ville sul lago di Como, che è conosciuta, ancora oggi, col nome di Villa Sommariva o Villa Carlotta.

Il Sommariva, ligio ai Francesi, all’approssimarsi delle truppe austrorusse fuggì da Milano, e si rifugiò a Varenna, ospitato da Giov. Battista Venini.

Chi ci da notizie della fuga del Sommariva a Varenna è Santino Pirelli in una sua lettera del 15 luglio 1814 al conte di Bellegarde commissario Plenipotenziario e Presidente della Reggenza di Governo, nella quale sono contenute altre curiose informazioni.

«Egli è manifesto» scrive il Pirelli «che l’ardente desiderio del Popolo Italiano di ritornare sotto l’Impero del suo antico Sovrano Austriaco era proveniente dai vantaggi che ha sempre goduto sotto lo stesso per lo passato, sperandoli similmente anche in avvenire nel veder rovesciati i grandi abusi nuovamente introdotti dal Governo Francese ed Italiano per le differenti leggi e regolamenti, si pel governo della comunità che per la coscrizione militare, per la procedura civile giudiziaria, uffici dei Boschi, dei Registri, Prefetture etc, per cui si sono resi necessari innumerabili salariati che per pagarli fa d’uopo quasi tutte le rendite dello Stato, che poi spendono più per oggetti intemperanti, che per altri di comune utilità; cosicchè presso gli altri sudditi non vi restan denari ai poveri per riparare i loro necessari bisogni, ed ai ricchi per poter fabbricare nelle diverse città e Ville onde dare il moto al commercio ed alle manifatture, già da tanto tempo quasi totalmente estinte.

Ciò che fa terrore e che tien sospesa la suddetta speranza generale si è nel veder confirmati nei pubblici impieghi, sebbene provvisoriamente, quei medesimi individui che furono scelti tra le persone più astute anzichè savie, oneste o giuste le quali sul timore che le truppe delle Alte Potenze Alleate entrassero nello stato a forza d’armi gran parte conoscendo il suo mal operato, eransi preparati per fuggire; ma fortunatamente avendoli la Sovrana politica confinati ciascuno nei suoi posti, si lusingano perciò d’essere per sempre rimpiazzati quindi avviene che si fanno dei certificati di buoni costumi e di ben serviti gli uni e gli altri, di modo che se lo stesso Sovrano, o chi ne fa le veci prestasse ad essi fede, non si verrebbe mai a capo di dare ai Popoli dei buoni Amministratori, secondo la sempre retta intenzione del Sovrano medesimo, poichè è chiaro che essendosi debitori fra essi dei loro posti, faranno ogni sforzo per sostenersi anche in avvenire si pel gran vantaggio che ne hanno ricavato, come per non dover dar conto delle loro azioni ed altri che non siano del loro tenore.

Ciò che mi ha spinto a scrivere la presente sono li differenti maneggi che pubblicamente si osservano in questi contorni, si intorno a quanto sopra come in altre circostanze, ed eccone un esempio, cioè due Rimostranze l’una del povero Antonio Maria Brenta, e l’altra del Signor