Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/20

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8 annie vivanti

II.


Un febbraio mite moriva blandamente sulla campagna inglese, quando marzo irruppe con urli di vento e scrosciar di pioggie. Respinse i diffidenti boccioli e il trepido verdeggiare; e via, fischiando per le lande villanamente, se ne andò. La stagione si fermò, timida e intirizzita.

Una mattina, ecco Primavera far capolino sopra le siepi. Scappò presto inseguita dal vento; ma gettò, fuggendo, una manata di crochi, e lasciò anche cadere una primola o due. Più tardi tornò piano, tra due acquazzoni, a dare una occhiata in giro... E all’improvviso, un giorno, eccola: alta, flava e inghirlandata! Gli astri di brina si sciolsero ai suoi piedi, e le allodole si lanciarono nei cieli.

Valeria chiese a prestito da Edith il suo grande cappello da giardino, lo legò sotto il mento con un nastro nero, e uscì nel giovane sole, attraverso la campagna di smeraldo.

Intorno, la lucentezza della verzura nuova si spingeva appassionatamente verso l’adolescente azzurro del cielo. E Tom era morto.

Tom giaceva nelle tenebre, lontano da tutto ciò, sotto la terra del piccolo cimitero di Nervi, dove il mare, che egli aveva tanto amato, scintillava e danzava a pochi passi dai suoi occhi chiusi, dal suo cuore immoto, dalle sue mani incrociate.

Ah, le mani incrociate di Tom! Ecco l’unica cosa che ella potesse rammemorare di lui quando, chiudendo gli occhi, tentava di rievocarlo.

Non le riusciva di veder altro. Per quanto ella si provasse, concentrandosi, con occhi chiusi ed appassionata