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— «Queste sono vecchie,» — ella disse tra sè. — «Io non le ho mai vedute. Tornerò indietro.» —
E si voltò.
— «Amrah!» — disse una delle lebbrose.
L’Egiziana, lasciò cadere l’anfora, e guardò indietro, tremando.
— «Chi mi chiama?» — domandò ella.
— «Amrah!» —
Gli occhi pieni di meraviglia della serva si posarono sul viso delle donne.
— «Chi siete?» — ella gridò.
— «Noi siamo quelle che tu cerchi.» —
Amrah cadde sulle sue ginocchia.
— «O padrona mia, padrona mia! Sia lodato Iddio che mi condusse a voi!» —
E la povera creatura sopraffatta dall’emozione, incominciò a farsi avanti.
— «Sta lì, Amrah! Non ti accostare dì più! Siamo infette! Siamo infette!» —
Quelle parole bastarono. Amrah cadde a terra colla faccia fra le mani, singhiozzando così forte che la gente al pozzo la udì. Tutta ad un tratto essa si alzò di nuovo sulle ginocchia.
— «O padrona mia, dov’è Tirzah?» —
— «Son qui, Amrah, son qui! Vuoi portarmi un po’ d’acqua?» —
L’istinto d’ubbidienza della serva riprese il sopravvento. Tirando indietro i capelli che le erano caduti sul viso, Amrah si alzò, andò vicino al cesto e lo scoprì.
— «Guardate» — ella disse — «qui v’è pane e carne.» —
Ella avrebbe disteso per terra il tovagliuolo, ma la padrona le si rivolse di nuovo.
— «Non fare così. Amrah. Quelli laggiù ti possono gettare delle pietre, e rifiutare di darci da bere. Lascia il cesto, prendi l’anfora, riempila e riportala qui. Per oggi ci avrai reso il più gran servizio che ti sia concesso di prestarci. Presto, Amrah.» —
La gente, sotto agli occhi della quale tutto ciò era accaduto, fece strada alla serva, e l’aiutò a riempire l’anfora, commossa dal dolore che traspariva dal suo aspetto.
— «Chi sono esse?» — domandò una donna.
Amrah sommessamente rispose;
— «Esse furono una volta molto buone con me!» —