Pagina:Zamenhof-Meazzini - Origine dell'Esperanto, 1909.djvu/9

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allontanato in qualche modo questa cagione dell’umano antagonismo.

A poco a poco mi persuasi che questa non era un’impresa tanto facile, come si era presentata alla mente infantile, ed una dopo l’altre scartai le diverse utopie; soltanto il sogno di una lingua comune non l’ho potuto mai abbandonare.

Non mi ricordo quando, ma certamente molto per tempo, mi formai la persuasione che sarebbe potuta divenire internazionale solo una lingua che fosse neutrale, cioè che non appartenesse a nessuna delle nazioni odierne, e quando, passato nella seconda ginnasiale a Varsavia, fui attratto dallo studio delle lingue antiche, sognai di andare in giro per il mondo a persuadere la gente di accettare una delle due lingue classiche per uso comune.

Più tardi, non ricordo come, mi persuasi che ciò era impossibile, e cominciai a sognare, in modo ancora indefinito, intorno alla formazione di una lingua nova, e spesso mi accingeva a provarmici inventando sovrabbondanti declinazioni, coniugazioni, ecc. E, poichè una lingua qualsiasi, con le sue innumerevoli forme grammaticali, con le sue diecine di migliaia di vocaboli, mi sembrava una macchina troppo complessa e colossale, più volte dissi tra me stesso: «via questo sogno, che è superiore alla potenza di uomo».

Tuttavia io tornavo sempre ad accarezzare quel sogno. Nella fanciullezza, cioè quando non si può fare confronti e conclusioni, appresi il francese ed il tedesco, ma allorchè, essendo nella quinta classe ginnasiale, imparai l’inglese, fui stupito della semplicità della grammatica di quella lingua, principalmente in paragone