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I


Ahimè, ch’io veggio il carro e la catena,
     Ond’io n’andrò nel gran trionfo avvinto:
     Già ’l collo mio, di sua baldanza scinto,
     Giro di ferro vil stringe ed affrena.
5E la Superba il carro in giro mena,
     Ove il popol più denso insulti al vinto:
     E strascinato, e d’ignominia cinto,
     Fammi l’empia ad altrui favola e scena.
Quindi mi tragge in ismarrito speco,
     10Ove implacabil regno have vendetta
     Fra strida disperate in aer cieco.
E col superbo piè m’urta e mi getta
     Dinanzi a Lei, con cui rimango; e seco,
     Chi puo pensar qual crudeltà m’aspetta?


II


Ed or qual volta del mio stato indegno
     Sdegnoso a me l’antico me richieggio,
     E i gran recinti a ricercar ne vegno,
     Che fur di lui tant’anni albergo e seggio:
5Ahi che, qual va per desolato regno,
     Più di quel che già fu nulla vi veggio,
     E in van qualche memoria o qualche segno
     A un cheto orror, che v’abita, ne chieggio.
Onde vegg’io ch’ei tutto in abbandono
     10Gito è del mondo, e nulla più n’avanza
     Se non dell’opre e del suo nome il suono;
E in questa spoglia, e in questa sua scordanza
     Niuna parte di lui son’io, ma sono
     Una confusion senza possanza.