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     Chi l’alma vite, onde ogni ben distilla,
     Gode in veder digrappolata ed orba;
5Nè stella per lui mai lieta e tranquilla,
     Ma sempre roti fulminosa e torba.
     Su, Galatea, quella gran botte spilla,
     E ’l suo nettare in Ciel Giove poi sorba.
In quello, in quello ambrispumante pozzo
     10Meco t’immergi, e lascia d’Aci il gorgo
     Povero d’acque limaccioso e sozzo.
Per te non poco e vile umore accozzo;
     Porporeggiante mare ecco io ti porgo:
     Ecco cent’otri albibeanti ingozzo.


XI


Se, pria che gli occhi a questa luce aprissi,
     Dato a veder m’avesse il Ciel la fiera
     De’ miei futuri mali immensa schiera,
     Onde ognor cinto io vò vivendo, e vissi;
5E posto avesse in mio poter, che uscissi
     A batter via sì dura e menzognera,
     Certo ancor mi sarei dov’io non era,
     Là del mio nulla entro gli oscuri abissi.
Che tosto di mia vita in sulle porte
     10Trovai pianto e travaglio, indi fui giuoco
     Or d’amore, or d’invidia, or della sorte;
E fuori e dentro, e in ogni tempo e loco
     Peno, e il fin del penar non fia che morte;
     E questo ancora a quel che io temo e poco.


XII


Ahi ch’io son morto, ahi che infernal Vesuvio
     M’arde il petto in seguir la costui traccia!
     Che fai scarso Sileno? Omai t’avaccia
     Di sbottar, di sgorgar di vino un fluvio.
5Col tuo soave assonnator profluvio
     Ogni mia pena micidial discaccia;
     Sdegno, sete, ed amor sommerso giaccia
     Dentro a questo di Bacco almo diluvio.
Così, poich’ebbe tracannato a iosa